Il mio laboratorio è un luogo silenzioso. Il suono più forte è quello di un martello che batte sul cuoio o del filo che passa tra le pagine.
Tutto nasce dalle mie mani e da pochi, fidatissimi compagni di viaggio. Non li chiamo attrezzi, perché sarebbe riduttivo. Sono estensioni del mio braccio, ognuno con un suo carattere, un suo peso, una sua storia.
Ce ne sono tanti, ma oggi voglio presentarvene tre.
1. I Punzoni e il Martello: Il ritmo del cuore
Se c'è un gesto che più di ogni altro definisce il mio lavoro, è questo: il colpo secco e ritmico del martello sui punzoni. I punzoni sono delle specie di forchette d'acciaio affilatissime.
Il loro compito?
Creare la fila di fori perfetti lungo la linea dove passerà la cucitura.
È un gesto primordiale, quasi tribale.
Posizioni il punzone, prendi la mira, e poi... tac.
Un colpo netto. E poi un altro. E un altro ancora.
Devi trovare un ritmo, una specie di battito cardiaco del pezzo che stai creando.
Se sei troppo timido, il foro non è pulito. Se sei troppo aggressivo, rischi di segnare la pelle.
È un esercizio di equilibrio tra forza e controllo.
E il suono, beh, il suono è tutto.
È un rumore onesto, pieno.
È il suono di qualcosa che prende forma, di un sentiero che viene tracciato con fatica e intenzione.
È il primo vero battito di un nuovo custode di memorie.
2. Il Punteruolo: Il creatore di sentieri
Se i punzoni creano la via maestra, il punteruolo è lo strumento per i dettagli, per i sentieri più piccoli. È un ago d'acciaio con un manico in legno, e il suo compito è semplice: fare i fori attraverso i quali passerà il filo della legatura delle pagine.
Sembra un lavoro umile, no?
Eppure è un'operazione quasi meditativa. Devi seguire la traccia che hai segnato, mantenere l'inclinazione perfetta, applicare la giusta forza.
Foro dopo foro. Lento. Preciso.
Stai creando il percorso che il filo percorrerà per unire le pagine alla copertina.
È un lavoro di preparazione silenziosa, quello che nessuno vede ma che garantisce la solidità di tutto il resto. A volte, mentre foro decine di pagine, la mente vaga.
E penso che in fondo è un po' come nella vita: senza preparare bene il terreno, è inutile sperare che le cose stiano insieme.
3. La Stecca d'Osso: La carezza che dà forma
Questo è forse il mio preferito, perché sembra uscito da un'altra epoca.
È una stecca liscia, levigata, fatta di osso (o di materiali sintetici che ne replicano le proprietà). Non taglia, non fora. Accarezza.
La uso per creare le pieghe nette sulla carta, per lucidare i bordi del cuoio dopo averli tinti, per far aderire le parti incollate senza lasciare segni.
È lo strumento della finitura, del dettaglio, della cura. Il suo passaggio sulla pelle la scalda leggermente e la rende lucida, quasi come se la stesse consolando dopo la violenza dei colpi e della foratura.
È uno strumento gentile. E ci ricorda che per creare qualcosa di bello non servono solo forza e precisione, ma anche un tocco di delicatezza.
Ecco, questi sono i miei tre compagni.
Non hanno bisogno di elettricità, alcuni fanno un po' di rumore e probabilmente dureranno più di me.
E in un mondo che cerca sempre l'ultimo aggiornamento tecnologico, trovo che questa sia una cosa meravigliosamente, ostinatamente, umana.